Al via la rassegna “Storie di vita” che omaggia alcuni grandi uomini che hanno segnato con la loro vita il panorama storico e politico italiano

Bibliomediateca – dal 6 al 28 maggio 2019, ore 15.30 – Sala incontri

La Bibliomediateca Mario Gromo propone, nel mese di maggio, una rassegna cinematografica sulle storie di vita di alcune delle figure più emblematiche del panorama storico e politico italiano: Carlo Alberto Dalla Chiesa, Enrico Mattei, Aldo Moro e Peppino Impastato.

 

“Ci sono stati uomini che hanno scritto pagine, appunti di una vita dal valore inestimabile, insostituibili perché hanno denunciato il più corrotto dei sistemi troppo spesso ignorato”. 

Sono i primi versi della canzone vincitrice del Festival di San Remo del 2007: “Pensa” di Fabrizio Moro. Un invito alla riflessione contro la mafia e al ricordo di chi, nel combatterla, ha perso la vita.
Esseri umani in grado di incarnare a pieno valori come: integrità morale, lealtà, dovere, determinazione. Individui dotati di grande compassione e con una forza d’animo tale da schierarsi contro l’immensa brutalità che caratterizza la mafia. Quest’ultima si pone da sempre come un tremendo virus, difficile da combattere e ancor più difficile da sradicare; un’organizzazione complessa, apparentemente senza paura. Ma è proprio di quest’ultima che si nutre ed è per via di questo primordiale sentimento umano che continua a persistere. In questa guerra così tremenda, di fronte a un avversario così privo di scrupoli, il Nostro Paese, in modo particolare, ha visto schierarsi numerosi uomini e donne che, il più delle volte, hanno perso la vita per un ideale in cui credevano in modo inamovibile: la giustizia.

 

Obiettivo di questa rassegna è di proporre un piccolo ma intenso viaggio cinematografico che ripercorre proprio queste Storie di vita, soffermandosi su alcune delle figure più emblematiche del panorama storico e politico italiano. Questo percorso inizierà con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il quale, reduce dalla lotta al terrorismo, venne eletto prefetto di Palermo. Per poi passare a Enrico Mattei, imprenditore italiano a capo dell’ENI, che divenne ben presto un personaggio “scomodo” per la sua notevole influenza economica e politica. La scomodità fu un aggettivo che accompagnò anche, e soprattutto, Aldo Moro, eletto cinque volte presidente del Consiglio, che venne assassinato il 9 Maggio del 1978. Stesso giorno e stessa sorte toccarono anche a Peppino Impastato, giornalista e attivista italiano, figlio di mafiosi che decise di ribellarsi contro questo sistema corrotto perché “la mafia uccide, il silenzio pure”. Uomini insostituibili le cui idee, come cantò Fabrizio Moro, “sarebbero rimaste nei secoli come parole iperbole, intatte, reali come piccoli miracoli” perché, appunto, “la giustizia no, non è solo un’illusione”.

 

La rassegna è il frutto del lavoro degli studenti del laboratorio “Comunicare il cinema”, del Corso di Laurea in  Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Torino in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema.

 

Il laboratorio, supervisionato dal Professor Silvio Alovisio, ha fornito gli strumenti e le metodologie utili per la progettazione di una rassegna cinematografica (principi introduttivi di programmazione cinematografica, ricerca sulle fonti, elaborazione di un discorso critico per le schede e la presentazione dei film in sala, elementi di impaginazione del pieghevole e della scheda, comunicazione dell’evento sulla stampa, sui social network e tramite newsletter) composta da quattro appuntamenti che gli studenti hanno deciso di dedicare al grande attore.

 

La rassegna Storie di vita sarà inaugurata lunedì 6 Maggio alle ore 15.30, dalla proiezione de Cento giorni a Palermo di Giuseppe Ferrara.

 

Tutte le proiezioni sono a ingresso libero fino esaurimento posti, previo tesseramento gratuito alla Bibliomediateca e presentazione di un documento d’identità.

Lunedì 6 Maggio
 

Giuseppe Ferrara

Cento giorni a Palermo

(Italia, 1984)

Il generale Carlo Alberto dalla Chiesa fu proprio uno di quegli uomini, tante sono le domande che si celano dietro la sua morte e il regista Giuseppe Ferrara riesce perfettamente a creare un clima governato dalla tensione e dall’ineluttabilità del destino. Come già lascia intuire il titolo, lo spettatore assiste a quelli che sono gli ultimi mesi di vita del generale dalla Chiesa, l’interpretazione di Lino Ventura conferisce veridicità e spessore e ciò che ne esce è un uomo pieno di determinazione ma allo stesso tempo di grande tenerezza. La pellicola si apre con eventi cronologicamente ricostruiti di quelli che sono stati gli omicidi a stampo mafioso che più hanno segnato la regione Sicilia. Il primo è quello di Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, in seguito avviene quello del giudice Cesare Terranova, proprio mentre stava per accettare un importante incarico, che lo avrebbe visto protagonista di una lotta ferrata tra i rapporti di politica e mafia. Si prosegue con Piersanti Mattarella che nel 1980 fu presidente della regione Sicilia, assassinato dall’associazione mafiosa “Cosa nostra” dopo aver iniziato ad attuare il suo programma di governo. Ed infine fu il turno di Gaetano Costa, magistrato, un uomo che addirittura rifiutò la scorta per paura di mettere in pericolo coloro che gli erano vicino.
Autenticità è la parola chiave che può essere usata per riassumere a pieno questo film, poiché sembra quasi di trovarsi di fronte a un documentario, per via delle modalità di ricostruzione storica di cui Ferrara sembra farsi portavoce. Tutto ciò può essere dedotto anche dalla messa in scena dei personaggi a cui non viene data particolare rilevanza psicologica, tranne ovviamente per quanto riguarda il protagonista, questo non è da intendersi come una mancanza, ma bensì come un’immediatezza di narrare le vicende accadute.

Con Lino Ventura, Giuliana De Sio, Arnoldo Foà, Stefano Satta Flores, Andrea Aureli.
 

Lunedì 13 Maggio

 

Francesco Rosi
Il caso Mattei

(Italia, 1972)

Eletto miglior film al 25° festival di Cannes, Il caso Mattei è dedicato al personaggio di Enrico Mattei e alle ultime vicende della sua vita, che lo hanno visto diventare presidente dell’ENI e lo hanno condotto alla morte. Il film offre una panoramica completa dei fatti senza esprimere un giudizio di parte in merito a quanto accaduto.

Oltre all’impeccabile interpretazione di Gian Maria Volonté, è da segnalare anche la presenza di Luigi Squarzina, nel ruolo del giornalista liberale, che con le sue domande incalzanti ci permette di scoprire più a fondo la forte personalità del protagonista.

Fu nominato commissario straordinario dell’AGIP (ente petrolifero creato dal fascismo) nel 1945 con l’incarico di liquidarla. In seguito al ritrovamento di giacimenti di metano e petrolio in alcune zone d’Italia, Mattei intuisce che l’AGIP sarebbe potuto diventare un centro di potere politico, pertanto decide di tenerla in vita.

Grazie alle intuizioni imprenditoriali e alle politiche adottate sia in campo nazionale che internazionale, non solo riesce nell’intento di far sopravvivere l’AGIP ma la trasforma in una multinazionale del petrolio. Tuttavia, la sua strategia, che prevedeva di offrire ai produttori di petrolio dei paesi arabi condizioni di sfruttamento delle risorse più favorevoli rispetto a quelle delle compagnie americane, lo porta a farsi molti nemici.

Il 27 ottobre 1962 Enrico Mattei -tanto amato dal popolo quanto temuto da industriali e politici- muore in circostanze misteriose: il presidente è in viaggio di ritorno dalla Sicilia verso Milano ed il suo aereo privato si disintegra al suolo appena prima dell'atterraggio.

Sebbene ufficialmente considerata un semplice incidente, la morte dell'uomo viene attribuita ad oscuri interessi politico-finanziari. Ma chi stava minacciando Enrico Mattei?

Con Gian Maria Volonté, Peter Baldwin, Luigi Squarzina, Renato Romano, Dario Michaelis.

Lunedì 20 Maggio


Marco Bellocchio
Buongiorno, notte
(Italia, 2003)

Buon giorno, notte è la storia romanzata della prigionia di Moro raccontata da Marco Bellocchio, che utilizza come base storica il libro di Anna Laura Braghetti. Ci troviamo all’interno della complessa storia del rapimento e della prigionia di Aldo Moro, Presidente del Consiglio del maggiore partito italiano, l'uomo del dialogo politico tra cattolici e sinistra che aveva capito il bisogno di uscire fuori dalla politica tradizionale, e che venne assassinato ad opera delle Brigate Rosse il 9 Maggio 1978. La storia ci viene raccontata dal punto di vista di Chiara, una giovane donna, l'unica in un dramma completamente maschile, terrorista coinvolta in questo rapimento che vive il dilemma della liberazione e dell'uccisione di Moro. Ed è proprio in questo modo che Bellocchio si supera proponendo il racconto di un evento a noi tutti conosciuto, trattandolo con una chiave totalmente nuova: quella femminile. Chiara decide di vivere la sua quotidianità sdoppiandosi: da un lato conduce una vita normale divisa fra il lavoro come bibliotecaria di un Ministero, i colleghi e un ragazzo che capisce la sua condizione, più di quanto lei stessa riesca a fare; dall’altra, però, sceglie di entrare a far parte delle Brigate Rosse con l’importante compito di assistere ed accudire il prigioniero, Moro. Il senso di colpa si fa sentire nel cuore della ragazza quando, in seguito a dei contatti con il passato del padre Partigiano, si scopre in conflitto con i suoi compagni e sempre più a disagio nel suo ruolo di combattente. Attraverso il suo vissuto riviviamo il clima degli anni di piombo e il travaglio dei brigatisti, fiduciosi nell’ottenere una rivoluzione a costo di vivere in clandestinità, con la logica della "giustizia proletaria" che prevedeva la pena di morte senza appello. Così, il 16 marzo 1978, un commando delle Brigate Rosse rapisce Aldo Moro, sterminando la sua scorta e dando inizio ai tragici giorni della prigionia, scanditi dai comunicati delle Brigate, dalle strazianti lettere di Moro e da un’inutile trattativa con le forze politiche e le autorità di governo. Non ci si aspetti una ricostruzione minuziosa e documentata degli accadimenti, lo stile del film non è realistico e l'oggetto non è la verità storica, ma il regista alterna il racconto con le immagini di repertorio: la sua è un’analisi dell’animo umano, con uno sguardo del tutto nuovo e personale. Con Maya Sansa, Luigi Lo Cascio, Roberto Herlitzka, Paolo Briguglia, Pier Giorgio Bellocchio.

Lunedì 27 Maggio

 

Marco Tullio Giordana
I cento passi
(Italia, 2000)

Il film evidenzia fin da subito la quotidianità nella quale la mafia trova terreno fertile per nascere e prosperare: fin dall’inizio ci viene mostrata come un'entità parallela alla vita “normale”, un perenne sottofondo allo svolgersi delle attività giornaliere.

Siamo a Cinisi un piccolo paese della Sicilia e Giuseppe Impastato, Peppino, cresce in questo ambiente omertoso ma legato profondamente alle dinamiche familiari, ritrovandosi a lottare sia contro la mafia sia contro la sua famiglia.

Questa distinzione verrà mostrata dal regista Marco Tullio Giordano in svariati momenti,  comunicando la presenza della mafia ma sempre come “cosa d’altri”.

Una prima scena che evidenzia questa doppia realtà è quella in cui vediamo il giovane Peppino insieme allo zio capomafia Don Cesare Manzella mentre assistono ad un comizio del pittore comunista Stefano Venuti: questo è uno dei primi momenti del film in  cui assistiamo alla negazione dell'esistenza della mafia proprio da parte di uno dei suoi membri.

Peppino compare fin da subito come un bambino molto sveglio e interessato a ciò che lo circonda, è un bambino che fa molte domande ma che ottiene poche risposte; sarà proprio grazie all’amicizia quasi paterna che nascerà tra lui e Venuti che Peppino si renderà conto dell'enorme “montagna” che grava sulla società.

Il titolo del film richiama alla distanza, letteralmente di cento passi, che c'è tra la casa di Peppino e la casa del mafioso Gaetano Badalamenti, detto Tano.

Il messaggio che il regista cerca di comunicare con la scena che mostra i cento passi, è in primo luogo mostrare la volontà di Peppino di evidenziare la vicinanza al “mostro” e quanto poco tempo ci voglia per raggiungerlo nonostante la tendenza di tutti a non vedere; in secondo luogo come Peppino cerchi di voler far capire come stanno le cose a chi lo circonda, come il fratello minore che ancora non capisce la sua guerra, prima che sia troppo tardi.

Peppino passerà la sua vita a lottare contro la mafia, ma ancora di più a parlare della mafia perché “la mafia uccide, il silenzio pure”.

Fonda il giornale L'idea socialista, partecipa a manifestazioni e comizi, fonda una radio ‘Radio Aut, radio libera’ portando i suoi pensieri e la sua lotta di casa in casa e di paese in paese.

Sarà proprio questa sua sempre maggiore presenza sul territorio siciliano a portarlo alla morte, probabilmente su commissione del capomafia Tano, il 9 maggio 1978. Morte che verrà travestita da suicidio, a cui nessuno crederà, motivata anche dalla sua candidatura alle elezioni provinciali nella lista di Democrazia Cristiana. Con Luigi Lo Cascio, Luigi Maria Burruano, Lucia Sardo, Paolo Briguglia, Tony Sperandeo